Il Bunraku è il teatro
giapponese delle marionette. Sviluppatosi soprattutto nel diciassettesimo
e nel diciottesimo secolo, il bunraku è una delle quattro forme del teatro
giapponese classico; le altre sono il kabuki, il noh e il kyogen. Il
termine bunraku deriva da Bunraku-za, nome dell'unico teatro bunraku
privato che soppravvisse fino all'era moderna. Il Bunraku viene anche
chiamato ningyo joruri, un nome che si riferisce alle sue origini e alla
sua essenza. Ningyo significa "bambola" o "marionetta" e joruri è il nome
di uno stile di narrazione drammatica, con canti, accompagnati da shamisen
a tre corde. Insieme al kabuki, il bunraku si sviluppò come una parte della stimolante cultura mercantile del periodo Edo (1600-1868). Nonostante l'uso delle marionette, il bunraku non è un teatro per bambini. Molte delle opere più famose furono scritte dal più grande drammaturgo giapponese, Chikamatsu Monzaemon (1653-1724). Grazie alla grande abilità dei burattinai, le marionette e le loro storie si animavano sul palcoscenico |
Già nel periodo Heian
(794-1185), alcuni burrattinai itineranti chiamati kugutsumawashi giravano
il Giappone facendo rappresentazioni nelle strade, in cambio di denaro.
Durante questa forma di intrattenimento in strada, che continuò fino al
periodo Edo, i burrattinai muovevano i burrattini con due mani usando un
palcoscenico che consisteva in una scatola sospesa all'altezza del collo.
Sembra che un certo numero di Kugutsumawashi si fossero stabiliti a
Nishinomiya e sull'isola di Awaiji, entrambi vicino all'attuale Kobe. Nel
sedicesimo secolo, i burrattinai di questi gruppi furono chiamati a Kyoto
per delle rappresentazioni per la famiglia imperiale e per i capi
dell'esercito. Fu a quest'epoca che il teatro delle marionette si fuse con
l'arte del joruri. Precursori del joruri furono attori itineranti ciechi, chiamati biwa hoshi, che cantavano lo Heike Monogatari, un poema epico militare, che raccontava la guerra dei Taira e dei Minamoto. Essi si accompagnavano con il biwa, un tipo di liuto. Nel sedicesimo secolo, lo shamisen sostituì il biwa come strumento e si sviluppò lo stile joruri. Il nome joruri deriva da una delle prime e più popolari opere cantate in questo stile, la leggenda della storia d'amore tra il guerriero Minamoto no Yoshitsune e la bella Lady Joruri. L'arte del teatro delle marionette, insieme al canto con l'accompagnamento dello shamisen, diventarono ancora più popolari all'inizio del diciassettesimo secolo a Edo (l'attuale Tokyo), dove gli shogun ed altri capi militari furono i mecenati di quest'espressione artistica. Molte delle rappresentazioni , a quest'epoca, avevano come tema le avventure di Kimpira, un eroe leggendario conosciuto per le sue gesta audaci e inconsuete. Fu ad Osaka, città mercantile, che si inaugurò l'età d'oro del ningyo joruri grazie a due talenti: il cantore (tayu) Takemoto Gidayu (1651-1714) e il drammaturgo Chikamatsu Monzaemon. Dopo che venne aperto il teatro di marionette Takemotoza ad Osaka, nel 1684, lo straordinario stile di canto di Gidayu, chiamato gidayu-bushi, iniziò a dominare il joruri. Chikamatsu cominciò a scrivere drammi storici (jidai-mono) per Gidayu nel 1685. Successivamente, per più di dieci anni, scrisse soprattutto per il kabuki, ma nel 1703 ritornò al teatro Takemotoza e dal 1705 fino alla morte scrisse solo per il teatro delle marionette. Si è molto discusso sul perchè Chikamatsu abbia scritto per il kabuki e poi di nuovo per il bunraku: forse ciò era dovuto all'insoddisfazione per la posizione dei drammaturghi e dell'attore nel kabuki. Gli attori di kabuki famosi al tempo consideravano il dramma una materia grezza da modellare per mettere in mostra al meglio il loro talento. Nel 1703, Chikamatsu fu il pioniere di un nuovo tipo di dramma per le marionette, il teatro domestico (sewamono), che portò nuova prosperità al teatro Takemotoza. Un mese dopo il doppio suicidio di un commesso e di una cortigiana, Chikamatsu rappresentò l'accaduto nell'opera teatrale: "Doppio suicidio d'amore a Sonezaki". Il conflitto tra i doveri sociali (giri) e i sentimenti umani (ninjo), presente in quest'opera, commosse enormemente il pubblico del tempo e divenne l'argomento principale del bunraku. |
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Pian piano eclissato dalla popolarità del kabuki, il bunraku, verso la fine del diciottesimo secolo, iniziò un declino commerciale e i loro teatri chiusero uno dopo l'altro fino a che rimase solo il teatro Bunraku-za. Dall'epoca della Seconda Guerra Mondiale, il bunraku cominciò a essere sovvenzionato dal governo per poter sopravvivere, sebbene la sua popolarità stesse crescendo. Grazie alla Associazione Bunraku, si tengono regolarmente rappresentazioni al Teatro Nazionale di Tokyo e al Teatro Nazionale Bunraku di Osaka. Sono state fatte "tournées" di rappresentazioni bunraku in varie città del mondo con molto successo. |
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Questo capolavoro di
Chikamatsu Monzaemon fu il primo del nuovo genere di dramma domestico
(sewa-mono) che si incentra sui conflitti tra le emozioni umane e le
severe restrizioni ed obblighi della società contemporanea. Il grande
successo di quest'opera portò alla composizione di molti altri drammi
sull'amore tragico tra mercanti e cortigiane ed ha creato una sequenza di
imitazioni di opere con tema il suicidio per amore. Scena 1: Mentre fa il giro dei suoi clienti, Tokubei, impiegato presso un commerciante di salsa di soia, incontra la sua amata, la cortigiana Ohatsu, per caso, al santuario di Ikutama ad Osaka. Piangendo, la cortigiana lo critica per aver dimenticato di scriverle o farle visita. Tokubei le spiega che ha avuto qualche problema, e, su pressione di lei, le racconta l'intera storia. Lo zio di Tokubei, il proprietario del negozio di salsa di soia, gli ha chiesto di sposare la nipote di sua moglie; Tokubei, però, ha rifiutato perchè è innamorato di Ohatsu. La matrigna di Tokubei, tuttavia, ha dato il consenso al matrimonio a sua insaputa ed ha portato la cospicua dote con sè. Quando Tokubei rifiuta di nuovo il matrimonio, suo zio richiede i soldi della dote. Dopo aver riavuto i soldi dalla matrigna, Tokubei li dà al suo caro amico Kuheiji il quale, però, tarda a restituirli. Kuheiji, ubriaco, arriva al santuario con degli amici. Quando Tokubei gli dice di restituire i soldi, Kuheiji nega di averli presi in prestito e insieme ai suoi amici picchia Tokubei. Quando Kuheiji va via, Tokubei proclama la sua innocenza agli spettatori e dice che farà ammenda uccidendosi. Scena 2: E' la sera dello stesso giorno e Ohatsu è ritornata alla casa da tè Temma, dove lavora. Ancora sconvolta per ciò che è accaduto, fugge dopo aver colto lo sguardo di Tokubei. Piangono e Tokubei le dice che l'unica scelta per lui è il suicidio. Ohatsu aiuta Tokubei a nascondersi sotto il portico dove lei siede, e, nel frattempo, arrivano Kuheiji e i suoi amici. Kuheiji continua ad asserire che Tokubei è colpevole, ma Ohatsu dice che lei sà che è innocente. Poi, come se parlasse a se stessa, chiede se Tokubei è deciso a morire. Non visto dagli altri, Tokubei risponde tirando il piede di lei lungo il suo collo. (Poichè la marionette che rappresentavano personaggi femminili non avevano gambe, un piede viene usato appositamente per questa scena). Kuheiji dice che se Tokubei si uccide egli si prenderà cura di Ohatsu; Ohatsu rifiuta e lo chiama ladro e bugiardo. Ohatsu dice di essere sicura che Tokubei vuole morire con lei e lei con lui. Soggiogato dall' amore di Ohatsu, Tokubei risponde toccandole il piede con la fronte. Quando Kuheiji se ne va e la casa è silenziosa, Ohatsu riesce a fuggire. Scena 3: Durante il loro viaggio alla volta del bosco di Sonezaki, Tokubei e Ohatsu parlano del loro amore: il narratore, con un passaggio lirico, fa un commento sulla caducità della vita. Sentendo in una sala da tè dei canti su un precedente suicidio per amore, Tokubei si chiede se anche lui e Ohatsu saranno l'argomento di canzoni come quella. Dopo aver raggiunto il bosco di Sonezaki , Ohatsu taglia la sua fusciacca. Essi usano la fusciacca per legarsi insieme e per essere belli nella morte. Tokubei si scusa con suo zio e Ohatsu con i suoi genitori per i probemi che stanno causando. Cantando e invocando il Budda Amida, Tokubei la pugnala e poi pugnala se stesso. |
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